79. Un volto nella folla (1957) di Elia Kazan
Questi sono film da riscoprire,
tutti da gustare in quella che definirei una stupenda rurale raffinatezza; c'è
infatti questo magnifico contrappunto tra la seta delle immagini, la viva
compostezza della scenografia, la teatrale intensa recitazione à la
Stanislavsky da un lato, e l'atmosfera campestre e folk dall'altra, tra
contrade di provincia e semplicioneria di floride cheerleaders e magnifiche
vecchie sdentate con l'orecchio incollato alla radio. Gli attori con Kazan
sputano fuori l'anima, senza lesinare sugli accenti acuti del loro personaggio;
l'istrionico Andy Griffith è perfetto, così come Walter Matthau con la sua
inconfondibile andatura ciondolante, ma spicca anche la dolcemente determinata
Patricia Neal. Anche qui il soggetto è di Budd Schulberg, premio Oscar per il
più celebre Fronte del porto. Con Kazan i due formarono un sodalizio
artistico eccezionale, anche se politicamente deprecabile; collaborarono con il
tristemente noto senatore McCarthy nella sua folle caccia alle streghe anticomunista,
tanto che di loro disse un invelenito Orson Welles: "Hanno venduto i loro
amici per comprare una piscina".
78. Harold e Maude (1971) di Hal Ashby
"Io non sono mai vissuto.
Sono morto, qualche volta". Un diafano ragazzo col senso del macabro e una
vecchietta supersprint, uniti da una insana passione per i funerali, incrociano
le loro strade in una romantica commedia nera, capolavoro del cinema grottesco.
Ashby riesce a imbastire un incredibile inno alla vita partendo dalle peggiori
premesse, come solo i grandi narratori possono fare; il greve bozzolo di una
esistenza da psicanalisi si trasforma assumendo i contorni della poesia più
bella, bizzarra e anticonvenzionale, dispiegando le fragili ali di un amore
gerontofilo. L'humour nero, denso di velenoso sarcasmo, fece storcere il naso a
più di qualcuno, compreso il mio critico di riferimento Roger Ebert il quale
affibbiò alla pellicola una misera stellina e mezzo. La coppia di protagonisti è ovviamente strepitosa, Ruth Gordon è adorabile.
77. Il pianeta delle scimmie (1968) di Franklin J. Schaffner
E' stato per lungo tempo uno dei
miei guilty pleasures. Anni fa infatti non godeva di grande reputazione,
se confrontato con i gioielli della sci-fi successiva; oggi viene riabilitato,
complice il flop del pessimo remake firmato da Tim Burton. Provando a
confrontare l'originale con la versione del 2001, infatti, si potrà considerare
il paradosso che vede le moderne tecniche digitali - che hanno raggiunto
livelli pazzeschi - soggiacere inesorabilmente al fascino della buona vecchia
fantascienza di cartapesta (o quasi). Cioè, le atletiche super-scimmie di Burton
risultano molto, ma molto più ridicole delle mitiche maschere di gomma del
1968. L'incipit di questo film, i primi venti-venticinque minuti che vedono
l'ammaraggio di Taylor e compagni e la loro esplorazione di una vasta landa
desolata, sono da antologia, e incollano lo spettatore alla sedia; anche la
caccia agli umani è strepitosa, pur con tutti i suoi manichini volanti dai
dirupi e le manganellate palesemente rallentate. Perfino i feticci lungo la
Zona Proibita, quelle specie di spaventapasseri fatti a croce, riescono ad
essere creepy, incutendo il giusto timore; c'è - come dire - la purezza
della tensione. La genuinità di una sci-fi priva degli inganni al visus
moderno; non è roba d'antiquariato, demodé, datata etc., è piuttosto
fantascienza purissima, incontaminata, seminale. Charlton Heston, col suo
torace villoso e il suo sorriso fatto di lisci sassi bianchi, è un semidio
anche senza strafare con l'interpretazione; il ruolo gli è stato cucito addosso
con perfezione, lui ci mette la barba, qualche salto e un paio di ceffoni, e il
gioco è fatto. Dulcis in fundo: indimenticabili le musiche di Jerry Goldsmith,
con quel pianoforte rapido, percussivo, folle, e quel tamburo profondo e
rimbombante.
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