New York (NY), 1942
FILMOGRAFIA SCELTA:
Taxi driver (Taxi driver), 1976
Vengono fuori gli animali più strani, la notte"; le languide
note del sax, il vociare, le sirene ed i clacson di una New York
insicura e violenta sono lo sfondo in cui si muove l'insonne Travis, un
"uomo dalle tante contraddizioni" - come lo dipinge la bionda Betsy -
sociopatico, misantropo. Assistiamo all'inabissarsi della sua follia:
"Più pensi di sentirti male e più stai male" scrive nel suo fantomatico
diario.
Il realismo feroce e disperante della sua preparazione, nella solitudine
di un buco di appartamento, trova il culmine nel celebre monologo
davanti allo specchio ("Ce l'hai con me?"). Da bravo bastian contrario,
reputo di maggiore impatto visivo le due sequenze davanti al televisore;
nella prima, immagini azzurrognole passano davanti al suo sguardo
assente, coppie miste ballano sulle dolci note di Jackson Browne, nella
seconda il suo stivale texano spinge lentamente l'apparecchio mentre
trasmettono un dialogo di separazione di una coppia.
"Non c'è mai stata altra scelta per me", è l'efficace sintesi di una
autocondanna sociale, di un ragazzo che spara con la 44 Magnum e allo
stesso tempo scrive bigliettini d'auguri per l'anniversario dei
genitori.
Il climax finale è una discesa agli inferi, in qualche modo "tradita"
dai cinque minuti dell'epilogo del film. Qui Scorsese rabbercia in modo
strano e vaporoso. Si è parlato molto di questa scelta ironica, che
trasforma lo psicopatico Bickle in un eroe metropolitano; colgo
l'ironia, anche se devo ammettere che questa scelta non mi ha convinto.
De Niro è stratosferico, bell'esordio della Foster. Harvey Keitel nei panni del pappone hippy è grandioso.
Toro scatenato (Raging Bull), 1980
Re per una notte (The King of the Comedy), 1982
Uno Scorsese decisamente minore. L'idea è buona, la realizzazione sconta un eccesso di equidistanza tra la commedia e il crime, un film in definitiva troppo cauto, troppo in equilibrio. De Niro, cofana e baffetti alla Marino Bartoletti, è nei panni di un alienato antieroe metropolitano, che per certi versi può sembrare una versione alternativa del Travis Bickle di Taxi Driver. Un Jerry Lewis atipico, molto serioso e taciturno, in una singolare interpretazione sicuramente interessante, forse un tantino monocorde. Completa il quadro una eccessiva Sandra Bernhard, vera e propria maschera grottesca, ossuta e schizofrenica.
Quei bravi ragazzi (Goodfellas), 1990
Giù il cappello, questa è una storia criminale con pochissimi
concorrenti all'altezza. Scorsese ha sparato una coppia d'assi pazzesca
nei primi anni Novanta (a questo, si affianchi l'altrettanto strepitoso Casinò, cinque anni più tardi). Guardatevi queste due ore abbondanti di pellicola, ditemi voi se trovate qualche difetto.
La regia trova una incredibile sintesi di ritmo, energia e qualità
dell'immagine, del sonoro, delle musiche. Perfino il doppiaggio va che è
una favola; sincronizzatissimo, recitato all'altezza dell'originale,
oltre al fatto che risulta naturalmente "tagliato" per l'edizione
italiana, visto il marcato accento dei "mangiaspaghetti".
Joe Pesci è un attore per cui non stravedo, sarò sincero. Ma nella parte
del gangster psicolabile, in Goodfellas come in Casinò, è stato
gigantesco. DeNiro qui secondo me è un po' meno convincente
dell'azzimato "Asso" Rothstein, mentre il posto più alto del podio
spetta senza dubbio al protagonista, Ray Liotta, con la sua risata
sguaiata, il suo sguardo plastico e glaciale che assume nell'ultima
parte del film quell'aria strafatta, paranoica, senza dubbio l'apice
della sua altalenante carriera.
Amo il modo di fare e intendere il cinema di Martin Scorsese. La sua
visione personale in grado di reinterpretare ogni tipo di materiale, di
raccontare una storia senza mollarla mai, anzi più precisamente di farla raccontare ai suoi personaggi, diversificando i punti di vista.
L'età dell'innocenza (Age of Innocence), 1993
"Il più violento" dei film di Scorsese - secondo una sua stessa
dichiarazione - ha un bello stile italiano, con le aggraziate
scenografie di Dante Ferretti e i costumi del premio Oscar Gabriella
Pescucci.
Il taglio originale di certe inquadrature genera uno squisito contrasto con l'ambientazione merlettata, scompaginando e deframmentando i rigidi canoni del film di costume; rapidi shots di oggetti e fogli vergati in bella grafia, dissolvenze ai limiti del pacchiano come i passaggi cromatici (dal giallo intrigo al bianco innocente) o l'iris che si stringe isolando acusticamente i protagonisti dal chiacchericcio nel loggione si inseriscono con delicata disinvoltura nel classicissimo plot da feuilleton. Per non citare gli azzardati "videomessaggi" della contessa Olenska o della giovane May. Eppure, è proprio questa soppesasta "licenza cinematografica" a fare la differenza.
Il trio graniticamente "anni '90" formato da Day-Lewis, la Pfeiffer e la Ryder volteggia senza sbavature, nei confini di una dignitosa performance.
Il taglio originale di certe inquadrature genera uno squisito contrasto con l'ambientazione merlettata, scompaginando e deframmentando i rigidi canoni del film di costume; rapidi shots di oggetti e fogli vergati in bella grafia, dissolvenze ai limiti del pacchiano come i passaggi cromatici (dal giallo intrigo al bianco innocente) o l'iris che si stringe isolando acusticamente i protagonisti dal chiacchericcio nel loggione si inseriscono con delicata disinvoltura nel classicissimo plot da feuilleton. Per non citare gli azzardati "videomessaggi" della contessa Olenska o della giovane May. Eppure, è proprio questa soppesasta "licenza cinematografica" a fare la differenza.
Il trio graniticamente "anni '90" formato da Day-Lewis, la Pfeiffer e la Ryder volteggia senza sbavature, nei confini di una dignitosa performance.
Casinò (Casino), 1995
Anche qui siamo al top del gangster-movie, un capello appena sotto al Padrino
di Coppola. Un capolavoro firmato Scorsese con una perfetta Sharon
Stone, sfavillante dea di Las Vegas che scende a rotta di collo verso
l'autodistruzione, e un Joe Pesci tosto, cattivo e brutto per davvero;
ma vogliamo mettere a confronto questo piccolo bastardissimo gangster
con quei patetici 'incattiviti ad hoc', muscolosi, tatuati, col naso da
pugile e l'occhio bovino? Per tacere poi della glaciale flemma dello
scagnozzo Frank Vincent; pare esca dallo schermo, pronto a spezzarti le
rotule con la mazza da baseball, senza cambiare di un grado
l'espressione facciale.
Tre ore che volano via come un corto; intorno al solidissimo (direi
classico) DeNiro dalle cravatte fucsia gira il mondo della malavita dal
marcato accento campano. Là dove i soldi viaggiano in valigetta, in una
luccicante oasi artificiale nel bel mezzo di un deserto pieno di fosse.
The Departed - Il bene e il male (The Departed), 2006
Una storia di infiltrati che va stratificandosi, e ad ogni strato lo
spettatore prende una posizione diversa sullo stesso personaggio: "E'
dei buoni? O è dei cattivi?". Fino ad un finale ricco di colpi di scena (e colpi di revolver).
Il cinema contemporaneo, lo sappiamo, ha ormai da tempo abdicato alla
netta e disneyana divisione tra hero e villain, e nell'ampio registro di
queste sfumature si inserisce come un meccanismo ad orologeria questa
suprema opera di Scorsese. Una perfetta combinazione di azione ed
intreccio, la trama fila dritta come un treno e l'adrenalina è
costantemente a mille. La tracklist dei commenti musicali, ma in
generale tutto il gioco dei suoni è una goduria; il montaggio è davvero
da Oscar, ogni tessera del mosaico è un colpo di genio.
Jack Nicholson e Di Caprio spaccano di brutto. Grande, grande, grande Scorsese.
Shutter Island (Shutter Island), 2010
Thriller psicologico - anzi, psichiatrico - decisamente angosciante, con
il tipico gioco ad incastri di Scorsese in una ambientazione cupa,
invernale, claustrofobica. Di Caprio forse esagera un po' nell'ambiguità
del ruolo, ma alla fine dei conti risulta convincente come sempre;
generalmente di ottimo livello il resto del cast. Alla base di tutto c'è
l'avvolgente e nero soggetto di Lehane; Scorsese non lesina con le
visioni macabre, davvero inquietante la scena del lago.
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