mercoledì 3 dicembre 2014

Da leggersi con umiltà, a lume di candela.
Casa Desolata di Charles Dickens

Chiudo vittorioso il romanzo in una sorta di trance vittoriana, ho addosso ancora gli umori di Londra e delle sue umide tenute nel verde dei sobborghi inglesi, sento ancora lo scalpiccio, il vociare, il rumore delle carrozze. Non vi narrerò tanto della mia difficoltà di lettura, tale da averci impiegato un anno e più per portare a termine questo pantagruelico romanzo, mollato e poi ripreso un paio di volte. Vi narrerò piuttosto della incredibile complessità di quest'opera, cercando stavolta di non sciorinare aggettivi a destra e a manca come sono ahimè solito fare. Non è propriamente mia intenzione quella di convincervi a iniziare la perlustrazione di questa "Casa Desolata", perchè di perlustrazione si tratta più che di semplice lettura. Troppa densità, un ordito troppo fitto per concedersi la modalità "light" del lettore moderno.  Non è che puoi attraversare a nuoto la Manica solo perchè sai arrivare a rana fino alle boe, giusto? Ecco, ritengo che bisogna partire con umiltà, consapevoli innanzitutto che un Classicone Ottocentesco non si inghiotte ma si assapora. Che Charles Dickens cantore dei trovatelli, degli usurai e delle nebbie londinesi è un osso duro, durissimo, altro che Topolino e il Canto di Natale, che le sue frasi sono blocchi di pietra tornita e intarsi di legno. Uno stile nobilissimo, inconfondibile. Una qualità artigiana nello scalpellare i personaggi che rivela il gusto del particolare, che riesce a trasmettere al lettore - in un modo che definirei magico - le precise sensazioni che suscita un certo ambiente. Sapete cosa significa guardare un temporale oltre al vetro e avvertire contemporaneamente odore della pioggia, nostalgia, tepore, poesia di un attimo. Lo avvertite come un tutt'uno, una specie di "cosa" allo stomaco, che dà un certo calore, da "lume di candela"; ecco avete capito, Dickens trasmette esattamente queste sensazioni. Va detto che in Dickens "calore allo stomaco" e zuppa cementizia vanno a braccetto. Vige la dura legge del pacchetto completo: prendere o lasciare. C'è una compiaciuta verbosità, c'è una ragnatela di correlazioni tra i molti personaggi da far venire il capogiro; c'è poi un comprensibile innesto di sentimenti pii e di integrità morale che oggi sono men che pallidi ricordi. L'estrema generosità del tutore Jarndyce, l'estrema bontà di Esther Summerson, l'aurea di pietas attorno a pover'anime di condizione martire e cuore angelico, i pudibondi rossori di Ada, etc.
Poi ci pensano i personaggi caricaturali, specie quelli più gretti e meschini usciti dalla sua penna d'oca a tenere desta l'attenzione.
Il Bastardo d'Oro spetta probabilmente a nonno Smallweed, rachitico usuraio circondato dal suo asservito parentado, un personaggio che nel suo uncinare col dito come la chela di un'aragosta sembra poter uscire dal libro e lacerare da un momento all'altro la pagina. O lo schermo del kindle. Ma poi c'è la pletora dei parassiti sociali, dal "vecchio bambino" Skimpole, socratino da salotto, all'egocentrico lamentoso vecchio Turveydrop fino a Mrs Jellyby, tutta presa dalle missioni africane mentre i suoi figli sono allo stato brado. Oppure il piccolo circo degli alienati, da Miss Flite inghiottita dai cavilli e dalle scartoffie di eterne cause legali alla disprezzatissima moglie impazzita del vecchio Smallweed, dalla gelida e sospettosa Mrs Snagsby fino al pupazzesco Mr Bagnet che esprime pensiero soltanto attraverso le opinioni dell'esuberante moglie. I temi affrontati sono tanti ma riassumendo a grandi linee si possono individuare: la lentezza della macchina burocratica tribunalizia, ingombrante scoglio sul quale vive attaccato un microcosmo di esistenze "in attesa". Il riscatto del buon poverello (tema caro a Dickens), ricompensato dalla sua irreprensibile bontà d'animo, ma anche l'accusa al vetriolo fatta ad una società che esclude drammaticamente il povero, che vuole farlo solo e perennemente "circolare" come il ragazzo di strada Jo. L'irriconoscenza del protegé - il "pupillo" Richard - che si ribella al tutore per i propri interessi (che a legger oggi, viene quasi da parteggiare per il ribelle). O anche il fatto che siamo davanti a un archetipo della detective story, con un investigatore (Mr. Bucket) dai modi al contempo "vittoriani" (moderati, attenti all'etichetta) e spicci. Ci sono troppi cunicoli aperti in questo cosmo dickensiano, una vita non basterebbe per raccontarli come si conviene. Avete tutto il tempo, leggetelo. Take your time; io ci ho messo un anno, e ne è davvero valsa la pena. Un romanzo che ritengo non si potrà mai "padroneggiare" abbastanza; si può certamente "assaggiare" con una prima lettura, e magari chissà "assaporare" meglio con una seconda lettura (si narra di alcuni ardimentosi che hanno superato la terza lettura). Spero di aver reso l'idea. Detto questo, tolgo il cilindro, m'inchino con calcolata grazia e scompaio inghiottito dalla bruma londinese.