43. Barton Fink (1991) di J. e E. Coen
Una delle più strabilianti follie
uscite dalla odd couple dei Coen, innovatori del cinema americano.
Questo 'Barton Fink' sfida con sfrontatezza tutte le regole dello scripturally
correct., regalandoci uno dei colpi di scena più incredibili partendo dal
banale ronzio di una zanzara in una squallida camera d'albergo. Tra l'altro, che
albergo: il cupo, malinconico, 'lynchiano' Hotel Earle si può definire un degno
parente dell'Overlook di Shining. Rimango estasiato dalla straripante verve scenica di John Goodman negli anni
'90, un attore eccezionale.
42. Big
Fish (2003) di T. Burton
Film di una delicatezza, di una
poesia e di una magia incredibili, che arriva dritto al cuore e narra della
grandezza della finzione, della indiscutibile e inossidabile supremazia della
fantasia sulla fredda e grigia realtà. Non dovete fare altro che guardarlo e
riguardarlo, per tornare a sognare. Indimenticabile Albert Finney.
41. Il massacro di Fort Apache (1948) di J. Ford
Il cinema di Ford è
essenzialmente frontiera e geometria. C'è l'epica, con la sua retorica marziale
e il suo inconfondibile sapore di sangue ed avventura, e attorno a tutto questo
gira il compasso di John Ford, regista amante del Classico, del romantico,
abitudinario quanto a cast (vedi gli attori feticcio Wayne, Fonda, Bond,
O'Brien), tutto concentrato nella storia che vuole raccontare, per cui la
tecnica cinematografica è a servizio. Se volete dire al mondo che John Ford è
un genio, ditelo piano, sussurratelo, non perchè non lo sia, ma semplicemente
perchè l'inflazione attorno al termine "genio" oggi mette sotto
l'occhio di bue i registi che sorprendono, scioccano, infrangono le regole.
Lui, quanto a digressioni, si concede al massimo l'inserto di una pomposa danza
di ufficiali sulle note della marcia di San Patrizio (con un Henry Fonda
eccezionale ballerino!). La Grandezza discreta di Ford; è facile “inventarsi”
la genialità davanti alla sregolatezza, è più difficile ma più prezioso
scovarla nella geometria più semplice. Io amo John Ford. Il che non significa
necessariamente nascondersi dietro ad un cespuglio e sparare a vista su quanti
contraddicono la sua grandezza trionfalmente americana, squisitamente
hollywoodiana. Amare John Ford è per me tornare al divano di una casa, accanto
al mio vecchio, e scoprire con gioia che l'ennesimo western in onda "sulle
private" è un Ford. Oggi so in anteprima cosa sto per vedere, allora no,
allora era una scoperta del momento.
Io amo John Ford perchè ha portato a spasso la mia fantasia per un bel pezzo della mia vita, e sta continuando a farlo anche ora che mi spuntano i primi peli bianchi sulla barba. Ora, tornando al film, considerate un attimo il rude John Wayne. Avete presente i suoi film, no? Generalmente, lui è il film, punto. La pellicola gli gira attorno. E adesso guardatelo qui, in questo Fort Apache; come al solito onest'uomo, tutto d'un pezzo, impavido. Ok, ma non un purosangue lanciato a mille in una prateria, bensì un grosso cavallo domato e imbrigliato. Il suo capitano Yorke non disubbidisce mai, la sua energia eroica viene costantemente repressa dalla ferrea e cieca disciplina imposta dal colonnello Thursday, uno straordinario, abbottonato e altezzoso Henry Fonda. Voglio dire: Ford in questo film è riuscito a maneggiare la dirompenza di Wayne, sellarlo come non mai, e l'effetto è grandioso. Il prototipo di eroe western generalmente scombina i piani dei villain, qui invece soggiace - per onore dell'arma - alle logiche assurde del suo superiore, le ingoia e le digerisce fino al punto di mitizzarlo dopo la morte. Spendo un'ultima parola sui magnifici comprimari che fanno parte del cast; su tutti, Ward Bond, una faccia da vecchio puglie, un fisico da lottatore, due occhi bovini e quel felice binomio attoriale che unisce la prestanza fisica alla bontà di cuore, l'assoluta onestà al linguaggio schietto. Un po' come il Donald Crisp di "Com'era verde la mia valle". Di una paternità forte, cristallina, intimamente dolce.
Io amo John Ford perchè ha portato a spasso la mia fantasia per un bel pezzo della mia vita, e sta continuando a farlo anche ora che mi spuntano i primi peli bianchi sulla barba. Ora, tornando al film, considerate un attimo il rude John Wayne. Avete presente i suoi film, no? Generalmente, lui è il film, punto. La pellicola gli gira attorno. E adesso guardatelo qui, in questo Fort Apache; come al solito onest'uomo, tutto d'un pezzo, impavido. Ok, ma non un purosangue lanciato a mille in una prateria, bensì un grosso cavallo domato e imbrigliato. Il suo capitano Yorke non disubbidisce mai, la sua energia eroica viene costantemente repressa dalla ferrea e cieca disciplina imposta dal colonnello Thursday, uno straordinario, abbottonato e altezzoso Henry Fonda. Voglio dire: Ford in questo film è riuscito a maneggiare la dirompenza di Wayne, sellarlo come non mai, e l'effetto è grandioso. Il prototipo di eroe western generalmente scombina i piani dei villain, qui invece soggiace - per onore dell'arma - alle logiche assurde del suo superiore, le ingoia e le digerisce fino al punto di mitizzarlo dopo la morte. Spendo un'ultima parola sui magnifici comprimari che fanno parte del cast; su tutti, Ward Bond, una faccia da vecchio puglie, un fisico da lottatore, due occhi bovini e quel felice binomio attoriale che unisce la prestanza fisica alla bontà di cuore, l'assoluta onestà al linguaggio schietto. Un po' come il Donald Crisp di "Com'era verde la mia valle". Di una paternità forte, cristallina, intimamente dolce.
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