lunedì 9 marzo 2015

Inferno, Canto XI. Tristo fiato e bucce di banana filosofiche


Dopo la vista e l'udito, ecco farsi spazio l'olfatto. Dante e Virgilio vengono bloccati dall' orribile soperchio del puzzo che'l profondo abisso gitta. Pensa ai bagni dell' autogrill in una umida serata d'agosto, quando ti scappa troppo e non puoi fare a meno di starci; un patimento solo in minima parte lenito dall' abituare gradualmente il naso al lezzo mefitico. Così, Virgilio saggiamente consiglia di starsene un po' lì, narici sottovento, sì che s’ausi un poco in prima il senso al tristo fiato.
Approfittando della pausa forzata, siccome Dante non è tipo da tirar fuori il cellulare per cazzeggiare vanamente (Alcun compenso ... trova che'l tempo non passi perduto), avvia una conversazione a fini meramente didascalici con la sua guida; un espediente narrativo che consentirà a Virgilio di spiegare la mappa di ciò che vedranno, nonchè tirar le somme di quanto hanno visto finora.
Dunque, innanzitutto a cosa andiamo incontro: sotto la città di Dite, l'abisso si sviluppa in tre cerchi, tutti popolati da spirti maladetti diversamente colpevoli. Il primo dei tre (ovvero il VII Cerchio nel computo totale) ospita i violenti, suddivisi in tre gironi: i violenti contro sè stessi, i violenti contro il prossimo, i violenti contro Dio. Il secondo (VIII Cerchio) ospita i fraudolenti, in particolare quelli che ingannano colui che non si fida (quel che fidanza non imborsa), i quali vengono suddivisi in dieci bolge. L'ultimo cerchio (IX) è il più basso ed ospita i più abietti tra i fraudolenti, ovvero quelli che ingannano colui che si fida; in questo senso, sarà emblematico il tradimento di Giuda nei confronti del Cristo.
Dante fa i complimenti a Virgilio per la chiarezza, ma a questo punto chiede lumi sui dannati che hanno visto finora (quei de la palude pingue, che mena il vento, e che batte la pioggia...): come mai non stanno anche loro a friggere nei terrificanti sotterranei di Dite?
Eccolo che presta nuovamente il fianco a un cazziatone di Virgilio. Perchè tanto delira lo'ngegno tuo da quel che sòle? Altro che bucoliche. Ma si sarà morso la lingua, 'sto benedetto Dante? O trae un guilty pleasure da questi mazzi virgiliani? La buccia di banana su cui è scivolato il tosco stavolta è l'etica aristotelica (Non ti rimembra di quelle parole con le quai la tua Etica pertratta...).
Ora, potrei io wikipedissequamente riassumervi un tomo di duecento chili chiamato Etica Nicomachea, scritto da Aristotele quando gli uomini giravano con sandali senza marca? Con quale arroganza potrei io, misero avanzo di istituto tecnico che non supera la filosofia di un Jeffrey Lebowski, dispensare ai viandanti della rete pericolosi bignami? Potrei mai giungere a tal scempio? Potrei?Certo che posso. Ci mancherebbe altro.
L'etica è un insieme di regole, perchè "fatti non foste per viver come bruti" (se ne riparlerà qualche canto più avanti, di questo motto dantesco che campeggia torvo su una marmorea tavola all'ingresso dell'omonimo liceo tergestino). Tutti inseguiamo infatti la virtù, a prescindere dal punto di vista religioso, a meno che non siamo sanguinari cannibali della Melanesia (o turpi derive moderne). Ciascuno di noi magari ambisce al proprio piccolo bene privato, ma tutto va indirizzato verso un sommo bene comune. Questo si trova necessariamente a metà tra gli opposti, ovvero: se Biff, ipotetico prepotente, ti ruba la merenda, invece di correre piangendo a ritirarti nel cantuccio del tuo dolore, o viceversa correre a prendere il randello irto di chiodi arrugginiti intinti nei tentacoli di una stingray australiana, prova piuttosto a manifestargli il tuo disappunto e il suo errore. Se non capisce, rivolgiti alla maestra. Se non capisce ancora, rivolgiti ai suoi tutori. Non servisse ancora, lascialo lì ad addentare quella dannata merenda, come una triste iena del deserto.
Lo sprone che ci fa ambire al bene comune è la felicità che ne deriva. Che non è il piacere edonistico, isterico, egoista o segretamente malevolo (del genere non-sarò-un-leone-ma-sono-esperto-di-voodoo: "Biff, misero pistola, che te se strozzi il boccone in gola"), ma un piacere calmo, la posata ferrea consapevolezza di non essere uno stolido ingranaggio del male e dell'ignoranza.
Non è "sentirsi buoni". E' sentirsi fuori dal gioco al massacro. Non è aspettare come il proverbiale cinese in riva al fiume il cadavere del nemico, no: è piuttosto contemplare il fiume.
Ok sto divagando. Tornando al mazzo di Virgilio, il mantoano spiega a Dante che un conto è la malizia di un atteggiamento, il cercare proprio il male, un altra è l'eccesso, o come dice lui l' incontenenza. Si pensi ai lussuriosi Paolo e Francesca, in preda a una passione che non porta altro male che a loro stessi, una pulsione difficile da contenere che tutto sommato men Dio offende e men biasimo accatta. C'è poi una terza sinistra e misteriosa categoria, la matta bestialitade. In molti si sono chiesti a cosa si riferisse Dante; visto che si tratta di una misteriosa casella da riempire a piacimento, mi azzardo a inserirci dentro quei loschissimi figuri vestiti di nero che ultimamente si danno da fare con le loro esecuzioni show.
A conclusione, Virgilio cerca di portare l'etica aristotelica e la filosofia in generale a un punto di congiuntura con il pensiero cristiano. Filosofia...a chi la'ntende, nota, non pure in una sola parte, come natura lo suo corso prende dal divino intelletto...
Interessante questa pervicace volontà di Dante nel voler "tutelare" la cultura classica; non gli va proprio giù il fatto che "tecnicamente" – con i criteri di un cristianesimo medievale meno incline alla misericordia – i grandi del pensiero greco e latino siano fuori dalla salvezza.
Ma chiudiamo lo spiegone virgiliano e procediamo dunque, che la lunga notte volge al termine e ormai i Pesci guizzan su per l'orizzonta: comincia cioè ad albeggiare.

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