Procediamo con Dante e Virgilio attraverso un secreto calle che si insinua tra i sepolcri scoperchiati dove si consumano tra le fiamme gli eretici, o meglio la loro anima. Ricetta teologica: far rosolare a fuoco lento per benino l'anima sotto il coperchio, quindi aggiungere il corpo solo a fine cottura (leggasi: resurrezione della carne).
L'idea religiosa di Dante va affinando i suoi contorni: i dannati (qui i cosiddetti epicurei, che come Epicuro si davano alle libagioni perchè "del doman non c'è certezza") sono privi di sostanza corporea ma hanno intatte le percezioni sensoriali; serbano vivi e dolorosi ricordi della loro vita, conservando pure le passioni che li hanno portati alla condanna; hanno una visione sfocata sugli accadimenti futuri (Dante raccoglie infatti alcune profezie lungo il suo cammino), mentre sono del tutto ignari del presente storico dei viventi.
Esemplare
in questo senso l'episodio che vede coinvolti due dannati "doc",
Farinata degli Uberti e il signor Cavalcante dei Cavalcanti, padre
del celebre poeta Guido. Siamo alle prese con l'ennesimo colloquio di
Dante con un'anima "selezionata", funzionale
all'esposizione del Dante-pensiero lungo la narrazione. Mentre
discorre
con Virgilio, Dante viene trattenuto dalla voce di qualcuno che ne ha
riconosciuto l' inconfondibile accento (O Tosco che vai per
la città del foco... la tua loquela ti fa manifesto di quella nobil
patria...); è Farinata degli
Uberti, il cui nome ci
risuona famigliare dal dialogo
con Ciacco nel Canto VI.
Egli è ghibellino,
quindi avverso ai guelfi
Aligheri, ma in fondo si
tratta per Dante di un
"nemico nobile",
sul
quale infatti
non si accanisce
come fece nel
penoso incontro allo Stige
con Filippo Argenti.

Il
poeta infatti parla di Guido usando un innocuo "ebbe", e il
vecchierello subito stracapisce: "Come? Dicesti "elli
ebbe"? Non viv'elli ancora? Non fiere li occhi suoi lo dolce
lume?". Dante resta un
attimo spiazzato, e la sua incertezza nel rispondere "Ma no,
macchè, guarda che hai capito male oh" causa lo svenimento
istantaneo del dietrologico vecchio (supin ricadde e più
non parve fora). A mantenere
comica la situazione è la
estrema disinvoltura del
Farinata, il quale "non mutò aspetto, nè mosse
collo, nè piegò sua costa",
ovvero per dirla in romanesco
nun je poteva
fregà de meno. Poi Dante,
sentendosi in colpa, chiederà a Farinata di rassicurare il vecchio
Cavalcanti spiegandogli l'equivoco.
Il
Canto si chiude con l'ennesimo sursum corda virgiliano al querulo
Dante, sempre più prostrato e angosciato per il suo futuro; Virgilio
gli promette che saprà qualcosa quando incontrerà Beatrice.
Quindi,
proseguendo il loro viaggio concentrico, i due si ritrovano sull'orlo
di una valle da dove sale un tremendo puzzo...
Canto I: L'Altro Viaggio
Canto II: L'impedito nella piaggia diserta
Canto III: Dentro a le segrete cose
Canto IV: Il castello dalle sette mura
Canto V: Francesca e Paolo
Canto VI: Da Cerbero a Pluto
Canto VII: Paperone, Rockerduck e la rissa ai fanghi termali
Canto VIII: Due bulli sullo Stige
Canto II: L'impedito nella piaggia diserta
Canto III: Dentro a le segrete cose
Canto IV: Il castello dalle sette mura
Canto V: Francesca e Paolo
Canto VI: Da Cerbero a Pluto
Canto VII: Paperone, Rockerduck e la rissa ai fanghi termali
Canto VIII: Due bulli sullo Stige
Canto IX: Coriandoli e marionette
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