lunedì 12 gennaio 2015

Inferno, Canto I. L' Altro Viaggio


"A te convien tenere altro vïaggio "

Che il viaggio sia al centro della stragrande maggioranza degli scritti d'ogni tempo, è cosa ben nota. Cosa ardita trovare un Grande Libro in cui non si parli di un viaggio – si intenda soprattutto il viaggio interiore, ivi compresa la crescita e quindi la generosissima produzione dei romanzi di formazione – perchè il viaggio rappresenta con perfetta sintesi il cambiamento, condizione (biologica e spirituale) e fine ultimo della nostra vita.
Dante Alighieri, trentacinquenne fiorentino piuttosto sanguigno (politicamente coinvolto nella diatriba tra guelfi bianchi e guelfi neri, fu condannato all'esilio da Firenze), si immagina sperduto e inebetito dal sonno in una "selva oscura", "selvaggia e aspra e forte"; dopo aver riposato un poco prova a salire una china (si muove sì che'l piè basso era sempre il più fermo) ma gli si parano dinnanzi tre fiere (la lonza maculata rappresenta la lussuria, il leone la superbia e la lupa l'avidità).

A questo punto in Dante prende sopravvento la paura. Un senso di smarrimento che prova a combattere facendosi forza, provando a proseguire, ma viene respinto nel suo tentativo di salire verso la luce mattutina (mi ripigneva là dove l'sol tace) e ricacciato verso il basso (...i rovinava in basso loco).
Quand'ecco, finalmente, arriva l'eroe. Per così dire.
Con una sontuosa presentazione
(sminuita dallo stesso, che poi si schermisce) entra in scena il poeta Virgilio, lume e guida di Dante, e piazza un primo saggio consiglio: "A te convien tenere altro vïaggio".
Il "classico eroe" avrebbe preso a mazzate le fiere per consentire a Dante di proseguire nel suo intento. E invece no.

Mi par di capire che Virgilio ci detta lo spirito giusto per entrare in questo viaggio letterario; non è il "solito" viaggio, è altro. Non il "solito" umano risalire la china con le proprie forze, affrontare le sfide e far i conti con la propria umana paura; è prendere una direzione diversa, verso il dilettuoso monte che pone alcune condizioni:

1. Seguire. Niente trekking in solitaria, questa è una ben più umile sequela (Allor si mosse e io li tenni dietro) e c'è bisogno di una guida. Lo sherpa non è un vecchio robusto e pratico montanaro ma un poeta.

2. Fuggire. Qua non stiamo mica portando a spasso il cane. Stiamo fuggendo da questo male e peggio, qui il lettore deve proprio scappare via dalla umana condizione di tutti i giorni per entrare nel loco etterno che dimora in queste pagine.

3. Accendere i sensi. Non si guardano i propri piedi. Udirai e vedrai. C'è un mondo di parole e immagini da scoprire che Virgilio ci preannuncia (a proposito: ma quanto sono belle le illustrazioni di Gustave Doré...) e c'è bisogno di tenere accesi tutti i sensi.

4. Abbiamo una prima meta. A un certo punto ci sarà un cambio di guida (anima fia a ciò più di me degna) ma non importa considereremo la cosa a suo tempo; adesso ciò che conta è che abbiamo una prima meta. Vogliamo attraversare con Virgilio i luoghi dove sono coloro cui il poeta fa cotanto mesti per giungere alla porta di San Pietro dove saluteremo la nostra guida e... accadrà qualcosa.
Per ora, lasciata la paura come un osso tra le zanne delle fiere, seguiamo la frusciante veste del mantoano.

→Vai al Canto II

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