Parte seconda
Socrate, Diotima e gli arcani dell'Eros
[segue dalla Parte prima]
Ecco
dunque entrare in scena la guest star. Parte lento, acquattato e
sornione come un felino pronto a sferrare l'attacco.
Socrate si schermisce glassando un po' Agatone, dichiarandosi imbarazzato di dover prendere il testimone dopo un così incantevole intervento. Risulta evidente che si sta preparando a estrarre il pungiglione: io credevo, dice, di dover fare un elogio di Eros basato sulla verità, e invece vedo che qua si sta facendo una competizione a chi le spara più grosse.
Questo più o meno il senso del primo diretto andato a segno di Socrate.
Socrate si schermisce glassando un po' Agatone, dichiarandosi imbarazzato di dover prendere il testimone dopo un così incantevole intervento. Risulta evidente che si sta preparando a estrarre il pungiglione: io credevo, dice, di dover fare un elogio di Eros basato sulla verità, e invece vedo che qua si sta facendo una competizione a chi le spara più grosse.
Questo più o meno il senso del primo diretto andato a segno di Socrate.
Socrate spariglia subito le carte, chiedendo se può parlare in
verità evitando di continuare con questa gara di eleganza. Occhi
bassi, tutti lo invitano a continuare.
Ed
ecco che il filosofo prende di mira Agatone, coinvolgendolo in una
serie di domande semplici e logiche per portarlo pian pianino dalla
sua parte (con la tecnica della cosiddetta maieutica).
Prima
domanda: Eros è eros di qualcosa o di niente?
Per
aiutare la comprensione dell'interlocutore, Socrate fa l'esempio di
un padre, una madre, un fratello. Essi sono per loro natura padre,
madre o fratello di qualcuno; se non ci fosse l'oggetto della
loro relazione, non sarebbero tali. Lo stesso vale per l'amore;
esiste quando è destinato a qualcuno.
Agatone
ovviamente risponde di sì. E da questa prima semplice domanda
possiamo già fare una prima considerazione. Eros perde in qualche
modo quella soggettività divina assoluta, che era stata finora data
per scontata; viene confutato Agatone quando sosteneva che il punto
di vista non doveva essere tanto la felicità degli uomini quanto la
centralità del dio.
Seconda
domanda: Eros desidera ciò
che ama? Beh, certo.
Eros è desiderio.
Quindi,
terza domanda: Eros ama quando possiede o piuttosto quando desidera,
non possedendo?
La
logica giovanile di Agatone, tutto passione, lo spinge a rispondere:
quando desidera. Socrate solidifica questa idea per farne una
certezza: quando uno è grande, desidera forse essere grande? Uno
forte, vuol forse essere forte? No di certo. Ecco piantato dunque il
terzo puntello per la tesi di Socrate, il quale continua: certo uno
non desidera ciò che già possiede, cionondimeno uno potrebbe
piuttosto desiderare che quella tal cosa duri nel tempo, che il suo
possesso venga conservato nel futuro. Agatone annuisce.
Quarto
punto chiave: cosa desidera l'eros? Qualcosa di brutto? No,
certo che no. Eros vuole la bellezza.
Ed
ecco scattare improvviso il micidiale contropiede di Socrate.
Dunque:
abbiamo detto che eros è desiderio di qualcosa che non si ha già, e
che il desiderio di eros va verso la bellezza... Ok, allora non
possono esserci dubbi: Eros manca di bellezza. I cantori di
Eros deglutiscono, e buttano giù l'amaro boccone di questa
inconfutabile rivelazione. Eros non si può dire bello, eh no. E non
solo: il filosofo rincara la dose con un ulteriore ragionamento. Ciò
che è bello è pure buono? Non s'era forse detto questo? La bellezza
virtuosa di Eros etc. Sì, certo, ammette Agatone. Ok, allora Eros
non solo non è bello, gli manca pure la bontà.
Agatone
alza le mani; con te è impossibile controbattere, Socrate. Il
filosofo risponde: no bello mio, non sono io, è la verità
che non si può contraddire.
Fatta
chiarezza, o meglio asfaltato ogni concorrente, Socrate può iniziare
il suo discorso.
Socrate
racconta di un suo colloquio con Diotima, donna di Mantinea "molto
competente su questo come su tanti argomenti", e in questo
racconto lui si pone come un interlocutore che aveva inizialmente le
stesse idee dei partecipanti al simposio: anche per lui, assicura
Socrate, all'epoca Eros era un dio degno di tutte le ammirazioni,
bello e virtuoso. Diotima gli oppose gli stessi ragionamenti che
Socrate oppose ad Agatone poc'anzi, ma alla dichiarazione di resa del
filosofo: "Dunque Eros è brutto e pure cattivo?", la donna
negò con veemenza. Diotima smonta la tesi del "o è bianco o è
nero", ricordando tutte le varie "sfumature di grigio"
(toh, a proposito di eros... vabbè, non scendiamo di livello...):
"Chi non è sapiente è forse ignorante? Non ti sei mai accorto
che esiste una via di mezzo tra la sapienza e l'ignoranza?".
Eccellente l'esempio riportato: il caso di una opinione giusta che
non si riesce ad argomentare. Come parlare di scienza senza poi
saperla dimostrare? Posso infatti accidentalmente avere una buona
posizione - magari per intuito, per sensibilità - nei confronti di
un determinato tema (metti ad esempio: sono contrario alla pena di
morte), ma alla luce dei fatti, se qualcuno mi chiede di motivare la
mia posizione, vacillo e dimostro di non avere una buona conoscenza
dell'argomento.
Diotima
colloca dunque Eros in questa "via di mezzo" tra bellezza e
bruttezza, bene e male, divinità e umanità. Non è un dio, afferma
la donna, in quanto ogni dio detiene felicità e bellezza, mentre
Eros ha fame di bellezza, brama di felicità. Eros è quindi
un démone potente, e il suo grande potere consiste
nell'intermediazione tra cielo e terra, nel trasmettere agli déi
tutto quello che viene dagli uomini e viceversa.
A
evidenza di questo punto, Diotima racconta a Socrate il mito della
nascita di Eros.
Siamo
al banchetto dato da Zeus per la nascita della figlia Afrodite. Nel
giardino del re degli déi si aggira l'unica non invitata, Penìa
alias Fame, dea della povertà, venuta a mendicare gli avanzi. Esce
dal banchetto il giovane Poros alias Bravo (questo il nome che gli dà
il traduttore Ezio Savino), dio dell'ingegno, ubriaco sfatto. Penìa
ne approfitta per giacere con lui, e da quell'unione clandestina
nasce Eros. Chiaro? Eros è figlio di povertà e ingegno. Rude,
scalzo, vagabondo (è figlio della povertà), nasce, muore, rinasce
(non è nè mortale nè immortale), nel suo desiderio trova mille
espedienti (è figlio dell' ingegno), non è mai del tutto povero ma
non è mai ricco.
Non
è nè sapiente nè ignorante, proprio come i filosofi. Chi infatti è
già sapiente non fa filosofia, tanto quanto l'ignorante. Il filosofo
è quello che si colloca a metà, colui che ha un "padre
sapiente e pieno di risorse" e "una madre povera di
conoscenze e di risorse", e viene mosso dall'eros per il
sapere. Parrucconi spocchiosi rassegnatevi, per Socrate (e Platone)
voi non siete filosofi. Del resto chi è già sazio non può
aver fame, no?
Eros
non è l'amato, ma l'amante. Non è il bello che si corteggia
e si contempla, ma è colui che soffre nel desiderio, il tormentato
dalle pene d'amore.
Socrate,
pur ammirato, continua a tirar fuori i suoi dubbi. Va bene, le cose
stanno così: ma allora, in definitiva, a che ci serve mai questo
Eros?
Diotima
replica con una domanda (cosa generalmente odiosa ma oh, la
dialettica funzionava così). In amore, quando desideri, cosa vuoi
ottenere? Che l'oggetto del mio amore mi appartenga, chiaramente. E
cosa accade quando ciò ti appartiene? Sono felice.
Ok.
Ma allora: perchè, se anche tutti vogliono la felicità, alcuni
amano e alcuni sembrano non riuscirci? Socrate non sa che rispondere
(o meglio: continua nella sua recita dell'ignoranza).
Perchè
-
riprende
Diotima -
in realtà noi con "amore" intendiamo una cosa soltanto,
mentre questo eros
coinvolge tutti i desideri umani, dal denaro allo sport allo studio,
anche se non ci viene da chiamare queste persone "innamorati".
Amare
non è affatto cercare la propria metà (ovvero: beccati questo,
Aristofane), perchè l'uomo sa rinunciare anche a un suo organo se sa
che questo è malato al punto di compromettere tutto il corpo. No,
amare è cercare ciò che è bene. Cercare il possesso durevole
di questo bene. "Amore è desiderio di possedere sempre
ciò che è buono".
Le
cose si fanno un po' più complicate. Diotima ora chiede a Socrate di
pensare a questa "tensione" che porta a questo fine; sotto
quale forma può essere riconosciuta come amore? Mani alzate: dillo
te, mi arrendo.
Risposta:
tu
ami
quando sai
creare
nella
bellezza. Gran risposta, eh.
Machevvordì?!?
Tutti
gli uomini hanno capacità creative, una spinta a generare.
Nell'unione tra uomo e donna, creature mortali, c'è vera bellezza in
quanto vi è una scintilla
di immortalità
nella capacità di generare nuovi esseri viventi. E l'amore punta
proprio a questo: all'immortalità.
Tutta
la natura mortale, bestie comprese, cerca di perpetuare la vita e
divenire immortale.
Anche
chi cerca con l'ambizione e l'eroismo la gloria eterna celebra
l'immortalità. Altri sono fecondi nell'anima, e cercano la bellezza
con la forza creativa della saggezza.
Sin
da giovani si cerca la bellezza sensibile nell'amore esclusivo verso
una persona, poi col tempo non ci si accontenterà di quella sola
bellezza ma ci si accorgerà che "la bellezza sensibile della
persona che ama è sorella della bellezza di tutte le altre persone".
Poi si imparerà ad amare la bellezza delle anime. Orientati ormai
verso l' "infinito universo" della bellezza, si punterà
alla bellezza perfetta. Al vertice supremo dell'amore vi è la
Bellezza eterna, senza nascita nè morte; tutte le cose sono belle
perchè "partecipano alla sua bellezza", ed essa si può
contemplare in tutta la sua purezza soltanto nel momento più alto
della vita di una persona.
Svelati
tutti gli "arcani dell'Eros", Socrate riceve il giusto
tributo di complimenti. Ed ecco si sente un gran vociare giungere
dall'ingresso; sta arrivando un nuovo ospite...
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