lunedì 20 luglio 2015

Il Simposio di Platone (parte seconda)

Parte seconda
Socrate, Diotima e gli arcani dell'Eros 

[segue dalla Parte prima]

Ecco dunque entrare in scena la guest star. Parte lento, acquattato e sornione come un felino pronto a sferrare l'attacco.
Socrate si schermisce glassando un po' Agatone, dichiarandosi imbarazzato di dover prendere il testimone dopo un così incantevole intervento. Risulta evidente che si sta preparando a estrarre il pungiglione: io credevo, dice, di dover fare un elogio di Eros basato sulla verità, e invece vedo che qua si sta facendo una competizione a chi le spara più grosse. 
Questo più o meno il senso del primo diretto andato a segno di Socrate.
Socrate spariglia subito le carte, chiedendo se può parlare in verità evitando di continuare con questa gara di eleganza. Occhi bassi, tutti lo invitano a continuare.
Ed ecco che il filosofo prende di mira Agatone, coinvolgendolo in una serie di domande semplici e logiche per portarlo pian pianino dalla sua parte (con la tecnica della cosiddetta maieutica).
Prima domanda: Eros è eros di qualcosa o di niente?
Per aiutare la comprensione dell'interlocutore, Socrate fa l'esempio di un padre, una madre, un fratello. Essi sono per loro natura padre, madre o fratello di qualcuno; se non ci fosse l'oggetto della loro relazione, non sarebbero tali. Lo stesso vale per l'amore; esiste quando è destinato a qualcuno.
Agatone ovviamente risponde di sì. E da questa prima semplice domanda possiamo già fare una prima considerazione. Eros perde in qualche modo quella soggettività divina assoluta, che era stata finora data per scontata; viene confutato Agatone quando sosteneva che il punto di vista non doveva essere tanto la felicità degli uomini quanto la centralità del dio.
Seconda domanda: Eros desidera ciò che ama? Beh, certo. Eros è desiderio.
Quindi, terza domanda: Eros ama quando possiede o piuttosto quando desidera, non possedendo?
La logica giovanile di Agatone, tutto passione, lo spinge a rispondere: quando desidera. Socrate solidifica questa idea per farne una certezza: quando uno è grande, desidera forse essere grande? Uno forte, vuol forse essere forte? No di certo. Ecco piantato dunque il terzo puntello per la tesi di Socrate, il quale continua: certo uno non desidera ciò che già possiede, cionondimeno uno potrebbe piuttosto desiderare che quella tal cosa duri nel tempo, che il suo possesso venga conservato nel futuro. Agatone annuisce.
Quarto punto chiave: cosa desidera l'eros? Qualcosa di brutto? No, certo che no. Eros vuole la bellezza.
Ed ecco scattare improvviso il micidiale contropiede di Socrate.
Dunque: abbiamo detto che eros è desiderio di qualcosa che non si ha già, e che il desiderio di eros va verso la bellezza... Ok, allora non possono esserci dubbi: Eros manca di bellezza. I cantori di Eros deglutiscono, e buttano giù l'amaro boccone di questa inconfutabile rivelazione. Eros non si può dire bello, eh no. E non solo: il filosofo rincara la dose con un ulteriore ragionamento. Ciò che è bello è pure buono? Non s'era forse detto questo? La bellezza virtuosa di Eros etc. Sì, certo, ammette Agatone. Ok, allora Eros non solo non è bello, gli manca pure la bontà.
Agatone alza le mani; con te è impossibile controbattere, Socrate. Il filosofo risponde: no bello mio, non sono io, è la verità che non si può contraddire.
Fatta chiarezza, o meglio asfaltato ogni concorrente, Socrate può iniziare il suo discorso.

Socrate racconta di un suo colloquio con Diotima, donna di Mantinea "molto competente su questo come su tanti argomenti", e in questo racconto lui si pone come un interlocutore che aveva inizialmente le stesse idee dei partecipanti al simposio: anche per lui, assicura Socrate, all'epoca Eros era un dio degno di tutte le ammirazioni, bello e virtuoso. Diotima gli oppose gli stessi ragionamenti che Socrate oppose ad Agatone poc'anzi, ma alla dichiarazione di resa del filosofo: "Dunque Eros è brutto e pure cattivo?", la donna negò con veemenza. Diotima smonta la tesi del "o è bianco o è nero", ricordando tutte le varie "sfumature di grigio" (toh, a proposito di eros... vabbè, non scendiamo di livello...): "Chi non è sapiente è forse ignorante? Non ti sei mai accorto che esiste una via di mezzo tra la sapienza e l'ignoranza?". Eccellente l'esempio riportato: il caso di una opinione giusta che non si riesce ad argomentare. Come parlare di scienza senza poi saperla dimostrare? Posso infatti accidentalmente avere una buona posizione - magari per intuito, per sensibilità - nei confronti di un determinato tema (metti ad esempio: sono contrario alla pena di morte), ma alla luce dei fatti, se qualcuno mi chiede di motivare la mia posizione, vacillo e dimostro di non avere una buona conoscenza dell'argomento.
Diotima colloca dunque Eros in questa "via di mezzo" tra bellezza e bruttezza, bene e male, divinità e umanità. Non è un dio, afferma la donna, in quanto ogni dio detiene felicità e bellezza, mentre Eros ha fame di bellezza, brama di felicità. Eros è quindi un démone potente, e il suo grande potere consiste nell'intermediazione tra cielo e terra, nel trasmettere agli déi tutto quello che viene dagli uomini e viceversa.
A evidenza di questo punto, Diotima racconta a Socrate il mito della nascita di Eros.

Siamo al banchetto dato da Zeus per la nascita della figlia Afrodite. Nel giardino del re degli déi si aggira l'unica non invitata, Penìa alias Fame, dea della povertà, venuta a mendicare gli avanzi. Esce dal banchetto il giovane Poros alias Bravo (questo il nome che gli dà il traduttore Ezio Savino), dio dell'ingegno, ubriaco sfatto. Penìa ne approfitta per giacere con lui, e da quell'unione clandestina nasce Eros. Chiaro? Eros è figlio di povertà e ingegno. Rude, scalzo, vagabondo (è figlio della povertà), nasce, muore, rinasce (non è nè mortale nè immortale), nel suo desiderio trova mille espedienti (è figlio dell' ingegno), non è mai del tutto povero ma non è mai ricco.

Non è nè sapiente nè ignorante, proprio come i filosofi. Chi infatti è già sapiente non fa filosofia, tanto quanto l'ignorante. Il filosofo è quello che si colloca a metà, colui che ha un "padre sapiente e pieno di risorse" e "una madre povera di conoscenze e di risorse", e viene mosso dall'eros per il sapere. Parrucconi spocchiosi rassegnatevi, per Socrate (e Platone) voi non siete filosofi. Del resto chi è già sazio non può aver fame, no?
Eros non è l'amato, ma l'amante. Non è il bello che si corteggia e si contempla, ma è colui che soffre nel desiderio, il tormentato dalle pene d'amore.
Socrate, pur ammirato, continua a tirar fuori i suoi dubbi. Va bene, le cose stanno così: ma allora, in definitiva, a che ci serve mai questo Eros?
Diotima replica con una domanda (cosa generalmente odiosa ma oh, la dialettica funzionava così). In amore, quando desideri, cosa vuoi ottenere? Che l'oggetto del mio amore mi appartenga, chiaramente. E cosa accade quando ciò ti appartiene? Sono felice.
Ok. Ma allora: perchè, se anche tutti vogliono la felicità, alcuni amano e alcuni sembrano non riuscirci? Socrate non sa che rispondere (o meglio: continua nella sua recita dell'ignoranza).
Perchè - riprende Diotima - in realtà noi con "amore" intendiamo una cosa soltanto, mentre questo eros coinvolge tutti i desideri umani, dal denaro allo sport allo studio, anche se non ci viene da chiamare queste persone "innamorati".
Amare non è affatto cercare la propria metà (ovvero: beccati questo, Aristofane), perchè l'uomo sa rinunciare anche a un suo organo se sa che questo è malato al punto di compromettere tutto il corpo. No, amare è cercare ciò che è bene. Cercare il possesso durevole di questo bene. "Amore è desiderio di possedere sempre ciò che è buono".
Le cose si fanno un po' più complicate. Diotima ora chiede a Socrate di pensare a questa "tensione" che porta a questo fine; sotto quale forma può essere riconosciuta come amore? Mani alzate: dillo te, mi arrendo.
Risposta: tu ami quando sai creare nella bellezza. Gran risposta, eh. Machevvordì?!?
Tutti gli uomini hanno capacità creative, una spinta a generare. Nell'unione tra uomo e donna, creature mortali, c'è vera bellezza in quanto vi è una scintilla di immortalità nella capacità di generare nuovi esseri viventi. E l'amore punta proprio a questo: all'immortalità.
Tutta la natura mortale, bestie comprese, cerca di perpetuare la vita e divenire immortale.
Anche chi cerca con l'ambizione e l'eroismo la gloria eterna celebra l'immortalità. Altri sono fecondi nell'anima, e cercano la bellezza con la forza creativa della saggezza.
Sin da giovani si cerca la bellezza sensibile nell'amore esclusivo verso una persona, poi col tempo non ci si accontenterà di quella sola bellezza ma ci si accorgerà che "la bellezza sensibile della persona che ama è sorella della bellezza di tutte le altre persone". Poi si imparerà ad amare la bellezza delle anime. Orientati ormai verso l' "infinito universo" della bellezza, si punterà alla bellezza perfetta. Al vertice supremo dell'amore vi è la Bellezza eterna, senza nascita nè morte; tutte le cose sono belle perchè "partecipano alla sua bellezza", ed essa si può contemplare in tutta la sua purezza soltanto nel momento più alto della vita di una persona.
Svelati tutti gli "arcani dell'Eros", Socrate riceve il giusto tributo di complimenti. Ed ecco si sente un gran vociare giungere dall'ingresso; sta arrivando un nuovo ospite...

(fine seconda parte)


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