venerdì 19 giugno 2015

Inferno, Canto XX. Torcicollo parade


...perchè volle veder troppo davante,
di retro guarda e fa retroso calle.

Dante e Virgilio giungono a un vallon tondo dallo scoperto fondo dentro il quale procede una schiera di dannati, lenta e regolare come una processione religiosa.
Dante si commuove nuovamente per la condizione grottesca degli indovini, condannati ad avere il capo travolto, completamente girato, al punto che in dietro venir li convenìa perchè 'l veder dinanzi era lor tolto. Usa poi una immagine da commediaccia buffonesca, mirabilmente oscena, che astutamente punta al rimanere ben ficcata nella mente dei lettori: infatti con l'espressione 'l pianto de li occhi le natiche bagnava per lo fesso, seguiamo tra l'imbarazzato e il faceto il rigagnolo delle lacrime scorrere tra le chiappe dei dannati. Oh, beh!
Dante piange appoggiato ad una roccia. L'umiliazione di questi dannati sembra quasi farlo crollare; egli continua a essere "impastato di terrestre umanità" (espressione molto bella ed efficace del professor Daniele Mattalia scoperta dall'Enciclopedia Dantesca del sito Treccani).
Ed ecco Virgilio il tosto, pronto a calare la sua secchiata d'acqua fredda sulla compassione del poeta: "Ancor se' tu de li altri sciocchi? Qui vive la pietà quand' è ben morta". La frase di Virgilio è vagamente oscura e ha scatenato una ridda di interpretazioni. Molti chiamano in causa la questione semantica, dove per pietas non si intende la misericordia, ma si fa riferimento alla famosa pietas di Enea - la cui paternità peraltro appartiene proprio a Virgilio - che significa più integrità, devozione, senso del dovere (verso Dio, la patria, la famiglia etc). Questa è la pietà ben morta, nel senso che è morta bene, in modo tale che ora può rivivere; in questo senso quel "qui" avrebbe più il senso lato di aldilà, che non di bolgia infernale in senso stretto. Insomma non è più il tempo dell'umana passione, quando ormai è sopraggiunto il giudizio divino. Drizza la testa, drizza e vedi: a Virgilio preme che Dante sia un testimone verace, che la sua testimonianza non venga ammorbidita nè offuscata dalle lacrime del suo spontaneo sentimento.
Parte la consueta rassegna di illustri peccatori, iniziando da Anfiarao, altro reduce dei sette di Tebe come l'indomito Capaneo (v. CantoXIV), che predicendo l'infausto esito della battaglia provò a darsela a gambe ma gli andò storta. Quindi è la volta del ben più celebre Tiresia, che uno quando sente il nome si chiede: "Ah perchè, non era una donna?" e la domanda è lecita per quanto possa apparire superficiale, in quanto siamo di fronte al primo transgender della storia. Tiresia infatti durante una escursione vide sue serpenti avvinghiati; disgustato, colpì la femmina con un bastone e... zacchete! "Operato" seduta stante divenne donna e rimase in tale condizione per sette anni, fino a quando la scena non si ripetè "al contrario", ovvero stavolta l'indovino percosse il maschio e tornò al sesso di origine (ribatter li convenne li duo serpenti avvolti, con la verga, che riavesse le maschili penne).
Segue Arunte, vaticinatore del trionfo di Cesare, e a chiudere la prima serie la maga Manto, il cui nome è mitologicamente legato alla città natale di Virgilio, Mantova. Il poeta latino coglie la palla al balzo per ripercorrere un po' le origini del mito e fare una lunga e sentita digressione geografica dei suoi luoghi. Con una affascinante immagine ci porta dalle acque del lago Benaco (Garda) al corso del Mincio – Ivi convien che tutto quanto caschi ciò che 'n grembo a Benaco star non può, e fassi fiume giù per verdi paschi. - lungo il quale indica una zona acquitrinosa disabitata ove la vergine cruda dopo tanto girare decise di stabilirsi con la sua servitù a far sue arti. Quando ella rese l'anima, gli uomini fer la città sovra quell'ossa morte, conferendole il suo nome ad memoriam ma di fatto mettendo una pietra tombale sopra a tutti quei sortilegi (Mantua l'appellar sanz'altra sorte). Virgilio avvisa Dante che questa soltanto è la verità e che ogni altra storia è frode (questo avviso appassionato ricorda un po' il Canto precedente, in cui Dante chiedeva al lettore di diffidare di altre versioni riguardo l'episodio del salvataggio alla fonte battesimale); uno scodinzoloso Dante rassicura il suo maestro con un po' di bella piaggeria: i tuoi ragionamenti mi son sì certi e prendon sì mia fede, che li altri mi sarien carboni spenti.
La seconda serie di indovini col torcicollo mostra il barbuto Euripilo, che è un personaggio dell'Eneide; il nominare questa alta tragedia fa gongolare un po' Virgilio il quale non manca di sottolinearne l'approfondita conoscenza di Dante (...tu che la sai tutta quanta). Infine con un salto temporale e geografico giungiamo a Michael Scot, Guido Bonatti, Asdente che a saperlo avrebbe continuato a far il calzolaio, nonchè un gruppo di streghe che fecer malie con erbe e con imago. Ma chiudiamola qui, che il Virgilio ha fretta di proseguire...

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