Il senso di vertigine è il perno
attorno al quale ruota il romanzo poliziesco D’entre les morts (1954) del sodalizio Boileau-Narcejac, adottato
ben presto come soggetto da Alfred
Hitchcock per il suo Vertigo; secondo
Truffaut si trattò di un’opera di “sartoria” degli scrittori francesi i quali,
speranzosi di una trasposizione ad opera del maestro londinese, ne mutuarono ad hoc stile e atmosfere. All’adattamento
dello script lavorarono Alec Coppel in prima battura, poi Samuel Taylor con Maxwell
Anderson (non accreditato).
La locandina del film nel graphic design di Saul Bass |
La vertigine è la causa del
trauma irrisolto del protagonista John Ferguson detto Scottie (un ottimo James Stewart), poliziotto che nel
corso di un inseguimento rocambolesco sopra i tetti di San Francisco finisce
appeso a una grondaia, restando paralizzato dalla paura, mentre il collega nel
tentativo di salvarlo scivola fatalmente nel vuoto. E la stessa vertigine verrà
“illustrata” con geniale semplicità da Hitchcock mediante l’effetto ottico straniante
dello zoom in avanti coordinato con la carrellata all’indietro della cinepresa.
Il tragico epilogo dell’episodio in
sequenza d’apertura rimane impresso nella mente di Ferguson al punto di impedirgli
perfino di salire su una scaletta da cucina, come avviene nell’atelier dell’amica
innamorata Midge. La disegnatrice di capi d'intimo femminile interpretata da Barbara Bel Geddes, attrice dalla bellezza pulita completamente
“sottratta” al cinema da una onorata carriera televisiva (fu uno dei main characters nella longeva soap
Dallas) risulta da subito impegnata nel tentativo di recuperare psicologicamente
l’amico come pure in quello più complicato di riaccendere la vecchia fiamma che
un tempo li aveva fugacemente uniti. Rappresentando l’approdo rassicurante,
sempre “a portata di mano” ma del tutto incapace di esercitare il magnetismo
necessario, la povera dolce Midge appollaiata dietro il suo tavolo di lavoro
coi suoi occhiali rotondi blonde tortoise
(i dettagli di stile in Hitchcock sono sempre impeccabili) non sembra mai in
grado di rompere la cortina di amichevole estraneità che la tiene distante da
Scottie; compirà il madornale errore tipicamente femminile di provare a
sostituirsi in modo goffo alla donna amata, irritando Ferguson e umiliando sé
stessa. Non riuscirà infine a sottrarlo al suo stato catatonico quando irromperà il
dramma centrale, uscendo di scena con una mesta camminata terminata in dissolvenza lungo
il corridoio della clinica.
Barbara Bel Geddes |
Come nella più classica
detective-story, il film presenta come scintilla del plot una investigazione su
commissione. Il vecchio amico Gavin Elster (Tom Helmore), divenuto un
importante armatore, chiede a Scottie di sorvegliare a distanza la moglie in
quanto presenta strani momenti di trance e occulte connessioni con il passato
attraverso la vicenda di un’antenata suicida, ritratta in una tela davanti alla
quale essa passa lunghi momenti in trasognata contemplazione. La
imperscrutabile Madeleine Elster è interpretata da Kim Novak in una versione cool
blonde che rivela la fissazione di Hitchcock per le chiome paglierine;
sebbene non riesca a eguagliare il fascino sofisticato di Grace Kelly in Rear Window, la Novak gioca con il suo sex appeal
inafferrabile, creando un personaggio intriso di mistero e sottile erotismo.
Soggettiva dall'auto di Ferguson |
Assistiamo
ai lunghi pedinamenti di Ferguson con una soggettiva da dentro l’abitacolo
della sua Desoto coupé bianca, sulle tracce di una elegante Jaguar verde
bottiglia; di tanto in tanto, un controcampo cattura la mimica accigliata di
Stewart con i suoi occhi azzurri esaltati dal Technicolor. Stretta in un
tailleur grigio perla e acconciata con grazia la Novak scivola tra i chiassosi
mazzi di fiori di un negozio (esempio della sgargiante fotografia tutta accesi
contrasti di Robert Burks) e tra i
sentieri di un cimitero di periferia, appare dalle imposte spalancate di un
piccolo albergo o siede come ipnotizzata sul divanetto di un museo; in ogni sua
posa appare, in un crescendo di malia e disperata solitudine, come un magnifico
fantasma agli occhi del sempre più disorientato Ferguson.
James Stewart |
L’effetto ipnotizzante,
raffigurato dall’inconfondibile graphic design di Saul Bass con l’iconica
spirale, cattura anche lo spettatore; la posizione voyeuristica
dell’investigatore si interrompe con il salvataggio dalle acque della San
Francisco Bay, dove la donna si è gettata in uno dei suoi momenti di dissociazione.
Da quel momento comincia a intrecciarsi la relazione tra Scottie e Madeleine,
con l’impronta tipicamente salvifica e protettiva dell’uomo rassicurante e la donna
fragile. L’adulterio, seppure non venga chiaramente mostrato con la libertà
espressiva di un cinema ancora a venire, usa in realtà pochi paraventi
moralistici ed espone al pubblico di fine anni cinquanta un lungo e languido bacio
clandestino, oltre che una ammiccante e disinvolta frequentazione dell’appartamento
di lui da parte di una donna sposata.
Kim Novak |
Nell’atto secondo del film avviene
la celeberrima scena del campanile. Stando a quanto dichiarato a Peter
Bogdanovich nel suo splendido libro di interviste Chi ha fatto quel film? (ed. Fandango), Hitchcock scelse di ambientare Vertigo a San Francisco
proprio per la necessità di trovare un campanile, individuando in San Juan
Bautista la giusta location. La reale altezza della torre campanaria deluse
però il regista il quale decise di farla “ritoccare” in studio per ospitare la
scena clou. Giunti alla missione, Scottie e Madeleine ne visitano le vestigia
ripercorrendo ricordi e misteriose reminiscenze del passato; ad un certo punto
lei sfugge all’amorevole controllo del suo amante, dirigendosi rapidamente
verso il campanile. Ferguson, trafelato, cerca di raggiungerla ma si blocca a
metà scala per via della vertigine; da una finestra assisterà impotente al volo
della donna che va a schiantarsi sul tetto sottostante.
A questo punto ha inizio il
“terzo atto” del film, quello che porta alla conclusione e allo svelamento di
ogni mistero. Interessante notare come Hitchcock scelga di rendere ben presto
partecipe lo spettatore di ogni retroscena per via della sua nota teoria sulla
suspense: per Hitchcock se una bomba viene piazzata sotto un tavolino,
ma nessuno sa della sua esistenza fino a quando essa non scoppia,
lo spettatore ne rimarrà scioccato per poco, poi in breve l’effetto sorpresa
svanirà; se invece lo stesso viene messo a conoscenza della furtiva
installazione dell’esplosivo, resterà in uno stato di tensione costante per
tutto il tempo fino al momento dell’esplosione. Così nella storia, poco dopo
l’occasionale incontro di Ferguson con Judy – sempre la Novak impersona quella
che si ritiene una perfetta sosia di Madeleine, col carattere e l’outfit in completa antitesi – Hitchcock
ci mostra con un flashback come sono andate realmente le cose all’episodio del
campanile in modo tale da instillarci la domanda: quando riuscirà il povero
Ferguson a smascherare l’imbroglio?
Da quel momento in poi si assiste
a una costante e certosina ri-costruzione dell’immagine dell’amata da parte di
un ossessionato Ferguson, con la sempre più debole resistenza dell’ormai
innamorata Judy, fino al ritrovamento dell’oggetto/indizio
che apre all’emersione del diabolico piano. Il finale è un crescendo di
tensione emotiva, sottolineata con perfetta affinità dalle musiche di Bernard Herrmann, in cui trova spazio una impressionante rappresentazione dell’uomo
accecato dalla furia vendicatrice, una rabbia montante, una salita inesorabile
per le scale della tragedia fino al grottesco contrappasso segnato dalla singolare,
quasi importuna apparizione sulla soglia di una inquietante ombra, rivelatasi
poi tutt’altro che un oscuro fantasma del passato. Ma è troppo tardi, Judy
spaventata a morte ha già deciso di seguire il tragico destino della sua sosia.
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