Scoprire Krzysztof Kieślowski a quarant'anni, con giusto una ventina d'anni di ritardo: si può fare - meglio tardi che mai! - ed è davvero una gran bella scoperta. L'ondata di emozioni che mi è arrivata da questo primo capitolo della trilogia Trois couleurs è difficilmente catalogabile; mi trovo in quei casi in cui essere puntuali e analitici appare impossibile, ogni volta che ti sembra di aver afferrato un ricordo o una sensazione te ne riaffiorano altri che si accavallano nella tua mente come pesci guizzanti.
Lo dico subito, questo film mi ha colto in contropiede; tendenzialmente io sono uno spettatore con i piedi ben piantati a terra, non perchè non mi piace il cinema sognante - anzi! - ma perchè reputo che alla base di ogni piacevole artificio ci debba essere sempre una storia di spessore. Le leziosità estetiche di Jarmusch, le fotografie civettuole in Malick, il disorientamento onirico dei film di Lynch, uhm, non mi convincono mai del tutto. Prima la storia, poi la carezza delle immagini e del suono. Ebbene inaspettatamente questo film così ricercato e imbevuto di simbolismi a partire da quella persistente chiave cromatica (qualche nostalgico lo chiamerebbe ancora film d'essai) poggia su basi ben solide; il soggetto di Kieślowski, al quale hanno collaborato in diversa misura Krzysztof Piesiewicz (che firma anche la sceneggiatura), Agnieszka Holland, Edward Zebrowski e Slawomir Idziak (che è anche e soprattutto il direttore della fotografia), mette al centro il dramma di una donna, Julie (Juliette Binoche), che a causa di un incidente d'auto perde il marito e la figlia. La perdita la renderà apparentemente gelida come il ghiaccio, rendendo partecipe lo spettatore del suo elaborato piano di fuga dal mondo, attuando una dolorosa rimozione dalla quale risparmia soltanto un iconico pendaglio da soffitto di cristalli blu, ricordo della cameretta della bambina. L'aspetto più interessante di questa dolorosa razionale opera di rimozione riguarda il marito, il quale fu in vita uno stimato compositore e dal quale tutti stavano aspettando la partitura finale di una sinfonia per celebrare l'Europa Unita. L'incompiuta rappresenta il continuum temporale bruscamente interrotto, come la barzelletta che il marito stava raccontando nell'abitacolo dell'auto una frazione prima dell'incidente fatale, un passato in stand by da seppellire nella sua incompletezza o da portare a conclusione. Sulle prime la scelta di Julie è quella di distruggere quasi roboticamente ogni legame con il passato, ma il destino nel corso della narrazione la farà scendere in qualche modo a più miti consigli; riallacciando i nodi con il passato, emergeranno tuttavia aspetti della vita del marito di cui ella non era a conoscenza creando una interessante sottotrama.
Ogni grande storia poggia su un grande protagonista (per lo meno nella maggior parte dei casi; ci sono anche splendide storie corali come nei film di Altman) e qui lo scettro di regina della scena è saldamente nelle mani della magnifica Juliette Binoche. Difficilmente trovo, scavando nei miei ricordi cinematografici, altri personaggi femminili che abbiano raggiunto un tale spessore; il suo viso pulito e imperturbabile, gli occhi profondi su cui si riflette una delle più belle inquadrature del film (primissimo piano sul dettaglio della pupilla, il riflesso del camice bianco del medico che sta per comunicarle la morte dei suoi cari) fanno da cornice a una donna dal complesso ma verosimile profilo psicologico. Vediamo in lei la efficace rappresentazione di una parabola umana, che dall'inabissamento risale lentamente verso la riappropriazione del rimosso, in un fragile equilibrio ben poco spiegato a parole - e proprio in questo si misura la grandezza di una interpretazione - espresso attraverso le prolungate apnee subacquee, l'autolesionismo di una mano sfregata contro il ruvido muro, la concessione a un amplesso sul materasso nuziale con l'eterno spasimante e vecchio amico del marito interpretato da Benoît Régent.
Un'altra grande protagonista di questo film è certamente la musica. La sinfonia incompiuta a tratti emerge e a tratti si rituffa sottotraccia, permeando tutta le pellicola delle note originali del compositore Zbigniew Preisner; dallo spartito Kieślowski estrae un segmento particolarmente grave e maestoso che sottolinea i momenti in cui l'angoscia di Julie appare insostenibile, scegliendo efficacemente di "spegnere" per un attimo ogni luce all'immagine. Lo schermo nero insieme agli archi vibranti in tonalità minore conferiscono il giusto pathos.
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